“Che Paura!”
Spesso i bambini dicono questa frase di fronte ad un mostro di un cartone, per uno spavento, un brutto sogno o altro ancora.
Diversamente da quanto si pensa provare paura non indica sempre debolezza.
La paura insieme altre altre emozioni primarie (rabbia e gioia) fa parte del nostro patrimonio genetico proprio come quello di altri esseri viventi.
Ed ha una funzione precisa: segnala un pericolo e tendenzialmente fa mettere in atto all’organismo tutte le risorse per affrontarlo.
In questa ottica quindi la paura protegge.
Non è possibile vivere senza aver sperimentato mai la paura; non si può sopravvivere a lungo senza paura.
Le paure dei cuccioli dell’uomo, in qualche misura simili anche a diversi cuccioli di animali, possono essere raggruppate in tre categorie: le paure innate, le paure legate alla crescita e quelle apprese.
Le prime sono presenti fin dai primissimi giorni di vita quando per esempio di fronte ad rumore improvviso, un movimento rapido o una perdita di appoggio il piccolo si spaventa irrigidendo il corpo o emettendo dei veri e propri lamenti.
Cosa accade invece già nel secondo semestre di vita?
I bambini cominciano a sperimentare delle nuove paure quali quelle della separazione dalla madre e l’angoscia che ne consegue. Spesso le mamme rimangono basite di fronte a questi nuovi timori dei propri figli, non si spiegano per esempio come mai il loro bambino non vada più in braccio a nessuno e sembri regredito in certi comportamenti sociali… ma come in tutte le cose una spiegazione esiste ed è legata allo sviluppo cerebrale e mentale del bambino che va via consolidandosi. Ora infatti il piccolo sta instaurando dei legami significativi con le figure di attaccamento e comincia a fidarsi delle persone che lo accudiscono. Mai come in questo periodo risulta di fondamentale importanza rassicurare sempre il bambino con la propria presenza e qualora si abbia necessità di lasciarlo per motivi lavorativi o altro è fortemente necessario farsi affiancare per un periodo dalla figura che sostituirà la madre nelle ore di assenza in modo che il piccolo vivi questa situazione nel modo meno traumatico e quindi più armonico possibile.
Il rischio più grande altrimenti è che questa paura si cristallizzi e che perpetui nel tempo, spesso anche nella vita adulta, quando si percepisce ad esempio di essere state vittime di un attacco di panico o si hanno delle vere e proprie fobie; questo perché da piccoli ( nel periodo critico, ovvero i primi 36 mesi di vita in cui si forma la personalità) il costante bisogno di rassicurazione,fondamentale per la sopravvivenza psicologica, ha avuto dei black out o nel peggiore dei casi è venuto meno.
Intorno ai due anni d’età comincia la paura per il buio che generalmente affievolisce per terminare completamente negli anni precedenti all’ingresso alla scuola primaria.
Anche la paura del buio trova la sua spiegazione nello sviluppo cerebrale del bambino; i neonati devono ancora abituarsi alla luce di conseguenza non hanno paura del buio.
Svegliarsi nel cuore della notte,magari dopo un brutto sogno o un vero e proprio incubo e non trovare subito i propri punti di riferimento rappresenta un motivo per provare paura.
Esistono poi delle paure dovute ad esperienze traumatiche come la morte di un famigliare,una malattia, un incidente.
Cosa può fare in generale un genitore per far superare queste diverse paure al proprio bambino?
Per prima cosa capire che le paure non si possono evitare e vanno conosciute ed affrontate proprio perché la paura aiuta a proteggere in senso lato.
Il neonato va rassicurato sempre, soprattutto nei momenti di disagio manifesto,utilizzando al massimo i canali sensoriali soprattutto attraverso il canale ottico e tattile e usando il baby talk (parlare con la vocina dei bambini) in questo modo il piccolo si sentirà capito e protetto perché si è creata una sintonizzazione emotiva utile per entrare in contatto con i suoi vissuti.
La rassicurazione acquista sfumature diverse per forma ma non per sostanza nel momento in cui il bambino cresce e verbalizza le sue paure, il compito del genitore è ora quello di ascoltare i timori del figlio senza mai minimizzare ma neanche enfatizzare.
Per contrastare le paure è utile sentirsi coraggiosi e per sentirsi tali è necessario credere in se stessi e nelle proprie capacità.
Avere coraggio significa saper riflettere prima di agire utilizzando al meglio le proprie risorse.
E quando si è piccoli è indispensabile appoggiarsi a qualcuno più forte, è cosi che pian piano il bambino diventa poi più autonomo.
I modelli genitoriali diventano quindi degli esempi.
La solitudine anche “emotiva” riduce spesso fortemente il coraggio, mentre la presenza di persone forti e sicure di sé lo aumenta grandemente.